Sommario 1. Introduzione: incarichi esterni di funzioni dirigenziali e pregressa attività professionale. – 2. Cenni sulla disciplina dell’inconferibilità amministrativa. – 3. Il carattere «dirigenziale» degli incarichi di responsabile di ufficio o servizio. – 4. Il supporto al RUP come attività professionale in proprio. – 4.1. Il supporto al RUP nella legislazione sui contratti pubblici. – 4.2. Profili di rilevanza ai sensi delle norme in tema di inconferibilità. – 5. Le conseguenze dell’accertata inconferibilità. – 5.1. La nullità dell’incarico e la sorte degli atti adottati medio tempore. – 5.2. La responsabilità dei soggetti conferenti e le misure sanzionatorie. – 6. Conclusioni: profili applicativi.
Abstract This article deals with anti-corruption measures in Italian law and, in particular, with the restrictions and prohibitions on assigning managerial positions in the public administration to individuals who have previously engaged in professional activities with the same administration. This topic is addressed in relation to local government and in light of judicial and administrative practice and of legal scholarship.
1. Introduzione: incarichi esterni di funzioni dirigenziali e pregressa attività professionale. Non di rado accade, soprattutto nei comuni di minori dimensioni, che la direzione delle strutture in cui l’ente locale si articola venga affidata a soggetti privi della qualifica di dirigente. Non è infrequente, inoltre, che queste figure vengano reclutate all’esterno degli organici, così da arricchirli delle competenze di cui essi sono sprovvisti. A volte capita, tuttavia, che tali incarichi siano assegnati a quanti, in precedenza, abbiano già intrattenuto rapporti professionali con l’amministrazione comunale: ciò si verifica, in particolare, allorquando venga nominato responsabile dell’ufficio o servizio tecnico chi abbia già svolto attività di supporto al RUP per conto del medesimo comune. In siffatta evenienza sorge il problema di comprendere se la scelta operata sia in linea con le norme in tema di inconferibilità degli incarichi amministrativi. Per risolvere adeguatamente questa problematica, bisogna affrontare una serie di questioni preliminari in merito all’interpretazione ed applicazione della vigente normativa anticorruzione, e cioè: - occorre innanzitutto chiedersi se le disposizioni in tema di inconferibilità, letteralmente riferite agli incarichi dirigenziali, si applichino anche a quelli che, pur avendo ad oggetto la direzione delle articolazioni organizzative dell’amministrazione conferente, non comportano l’attribuzione della qualifica di dirigente, come accade, per l’appunto, nell’ipotesi dell’incarico di responsabile di ufficio o servizio negli enti locali; - bisogna poi domandarsi se e in quale misura il pregresso svolgimento di attività a supporto del RUP rilevi ai fini dell’inconferibilità dei suddetti incarichi; - è infine necessario interrogarsi a proposito delle conseguenze dell’eventuale inconferibilità, particolarmente per ciò che concerne la sorte degli atti adottati medio tempore dal titolare dell’incarico risultato inconferibile. A tali quesiti si cercherà di dar risposta nel prosieguo, tenendo presenti gli orientamenti emersi in seno alla giurisprudenza e le indicazioni ricavabili dalla prassi amministrativa, oltre che le soluzioni prospettate dalla dottrina. 2. Cenni sulla disciplina dell’inconferibilità amministrativa. Prima di affrontare le specifiche questioni sollevate dalla fattispecie in discorso, è opportuno ricostruire sinteticamente il quadro normativo di riferimento. A tal fine, mette conto innanzitutto ricordare che la lotta alla corruzione, in passato affidata principalmente a rimedi di impronta penalistica e di natura repressiva, negli ultimi anni si è arricchita di un nuovo strumentario, consistente in misure di stampo amministrativistico e di carattere preventivo, le quali mirano non a stigmatizzare gli
episodi corruttivi dopo la loro verificazione, bensì a scongiurare l’insorgenza di situazioni in cui i soggetti operanti in seno all’amministrazione possano essere condizionati da interessi privati o, comunque, confliggenti con quello pubblico. In questo solco si colloca, come è noto, la riforma varata con la l. 6 novembre 2012, n. 190 (c.d. legge Severino) e, in sua attuazione, con il d.lgs. 8 aprile 2013, n. 39, che hanno introdotto, tra i vari strumenti di contrasto alla corruzione, un’articolata disciplina dell’inconferibilità e dell’incompatibilità degli incarichi nelle pubbliche amministrazioni. Un’analisi dettagliata di tali istituti esulerebbe dal presente scritto, per cui in questa sede ci si limiterà ai soli aspetti che più strettamente attengono alla tematica in esame, rinviando per la disamina degli altri profili ai numerosi contributi pubblicati in materia. In particolare, l’inconferibilità costituisce una delle innovazioni più significative della menzionata riforma anticorruzione. Essa si sostanzia in una causa ostativa che preclude, in modo temporaneo o permanente, il conferimento di incarichi amministrativi a quanti versino nelle situazioni contemplate dalla legge. Si tratta, dunque, di un rimedio che non richiede un conflitto di interessi in atto, ma che, secondo una logica precauzionale, ne scongiura la configurabilità anche in forma meramente potenziale, impedendo l’attribuzione di una carica pubblica a chi, per la precedente condotta, faccia temere un suo esercizio non imparziale. In ciò risiede la differenza rispetto all’incompatibilità, la quale impedisce la permanenza negli incarichi amministrativi di coloro che si trovano in determinate situazioni di conflitto di interessi e quindi opera soltanto dopo che in capo al medesimo soggetto si sono già cumulate la carica pubblica e la posizione ritenuta incompatibile con la stessa dalla legge6. Quanto alle cause di inconferibilità, esse vengono elencate dagli artt. 3-8, d.lgs. n. 39/2013 e sono riconducibili a tre fattispecie, aventi ad oggetto, rispettivamente, la sussistenza di condanne per determinati reati in capo al soggetto designato per l’incarico, la sua provenienza da organi di indirizzo politico ed il precedente svolgimento, da parte sua, di attività professionali per conto dell’amministrazione che intende conferire l’incarico o degli enti privati sottoposti al suo controllo. In tali ipotesi, fatta eccezione per i casi di condanna definitiva che abbia irrogato anche la pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici o che sia stata seguita da licenziamento disciplinare, l’inconferibilità si caratterizza per la sua temporaneità, poiché essa non mira all’esclusione permanente dall’incarico, ma vuole soltanto evitare il suo affidamento ad un soggetto in condizioni che ne pregiudichino l’imparzialità e quindi opera solo per il periodo durante il quale, secondo il legislatore, siffatte condizioni permangono. È stabilito, pertanto, che l’incarico ritorni conferibile quando sia decorso un tempo minimo dal venir meno della causa di inconferibilità (c.d. periodo di raffreddamento). Qualora l’incarico venga nondimeno conferito prima del decorso di questo termine, la sanzione comminata dalla legge consiste nella nullità dello stesso. Per ciò che concerne il perimetro soggettivo di applicazione della disciplina in tema di inconferibilità, si fa riferimento ai destinatari di incarichi amministrativi di vertice o dirigenziali nelle pubbliche amministrazioni. Più precisamente, per incarichi dirigenziali si intendono tanto quelli attribuiti al personale di ruolo e quindi interno all’amministrazione conferente, quanto quelli affidati a soggetti esterni alla stessa, mentre gli incarichi amministrativi di vertice corrispondono alle cariche di livello apicale dei dicasteri, degli enti pubblici o degli organismi privatistici in controllo pubblico. La differenza tra le due categorie risiede in ciò, che gli incarichi amministrativi di vertice, a differenza di quelli dirigenziali, non comportano l’esercizio di competenze di tipo operativo e gestionale. L’osservanza delle norme in tema di inconferibilità è affidata, in prima battuta, al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza (in acronimo, RPCT): istituita dalla l. n. 190/2012, tale figura esercita compiti di coordinamento, gestione e vigilanza sulle misure anticorruzione, ivi compresi quello di verificare se i singoli incarichi affidati siano inconferibili e, in caso positivo, quello di adottare i provvedimenti conseguenziali, oltre a svolgere rilevanti funzioni in materia di trasparenza. In particolare, il RPCT viene nominato dall’organo di governo di ciascuna pubblica amministrazione, scegliendolo tra i rispettivi dipendenti di ruolo con qualifica dirigenziale, mentre, con specifico riferimento agli enti locali, si prevede che, salva diversa scelta motivata, egli debba essere individuato nella persona del segretario o di un dirigente apicale. Le sue attribuzioni convivono con quelle dell’Autorità nazionale anticorruzione (in acronimo, ANAC), cui è demandata, accanto ad un’attività consultiva e di regolazione, la generale vigilanza sul rispetto della normativa concernente la prevenzione dei fenomeni corruttivi e la trasparenza. Quanto al procedimento di verifica della situazione di inconferibilità, le scarne indicazioni ricavabili dal d.lgs. n. 39/2013 sono integrate dalle linee guida emanate dalla testé menzionata ANAC. In base alle indicazioni fornite dall’Autorità, il procedimento è avviato dal RPCT, il quale deve assicurare che durante la relativa istruttoria sia rispettato il principio del contraddittorio. Ove venga effettivamente riscontrata l’inconferibilità, la verifica si conclude con un provvedimento, adottato sempre dal responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, con cui si accerta il carattere inconferibile dell’incarico e se ne dichiara la nullità, oltre a dare avvio ad un successivo procedimento, volto a sanzionare con una specifica misura inibitoria i componenti dell’organo conferente, come si dirà dettagliatamente nel prosieguo
3. Il carattere «dirigenziale» degli incarichi di responsabile di ufficio o servizio. Ricostruito brevemente il panorama legislativo in tema di misure anticorruzione, bisogna adesso risolvere la prima delle questioni emergenti dalla fattispecie in esame, la quale, come si è accennato, concerne l’assegnazione dell’incarico di responsabile dell’ufficio o servizio tecnico ad un soggetto non appartenente agli organici del comune. Occorre chiedersi, dunque, se un incarico con tali caratteristiche rilevi ai fini della disciplina in tema di inconferibilità amministrativa, integrando, in particolare, la fattispecie dell’incarico dirigenziale esterno di cui al d.lgs. n. 39/2013. In proposito, è opportuno rammentare che esistono diverse possibilità per coprire le posizioni di direzione delle strutture in cui si articolano le amministrazioni di livello infraregionale, stando al disposto del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (c.d. testo unico degli enti locali). L’art. 109, c. 2, prevede che, in mancanza di personale con qualifica dirigenziale, le relative funzioni possano essere conferite ai dipendenti cui è assegnata la responsabilità delle articolazioni organizzative (aree, servizi, settori, uffici, ecc.) dell’ente. Il successivo art. 110 prevede la copertura dei posti in organico di dirigente o di responsabile, nonché di quelli di funzionario con elevata specializzazione, mediante l’assunzione di soggetti esterni con contratto a tempo determinato (c. 1) e consente, entro certi limiti, di reclutare siffatte figure, sempre rivolgendosi a personale non di ruolo e utilizzando contratti a termine, anche per posizioni non rientranti nella dotazione organica (c. 2). In base alla medesima disposizione, la selezione avviene mediante un iter paraconcorsuale, che non può essere assimilato ad un vero e proprio concorso pubblico e presenta una forte componente fiduciaria, mirando unicamente ad accertare, in capo ai soggetti interessati, il possesso di esperienza e professionalità nelle materie oggetto dell’incarico. Giova precisare, incidenter tantum, che queste ipotesi rientrano nello schema del lavoro subordinato e quindi non vanno confuse con il diverso caso degli incarichi di collaborazione esterna, sussumibili nel paradigma del lavoro autonomo e aventi ad oggetto lo svolgimento di attività consulenziali in favore delle pubbliche amministrazioni. Tali norme legislative, tuttavia, devono essere lette insieme alle previsioni racchiuse nei contratti collettivi. In particolare, con riferimento ai comuni sprovvisti di dirigenza, la responsabilità delle strutture in cui si riparte l’amministrazione comunale va ricondotta agli «incarichi di posizione organizzativa», previsti fin dagli anni Novanta nei contratti relativi agli enti locali e sostituiti dagli «incarichi di elevata qualificazione» (o, in forma abbreviata, «incarichi di EQ») nella contrattazione più recente. Quest’ultima ribadisce che, in mancanza di dirigenti, la titolarità delle unità organizzative di livello più elevato è oggetto di incarichi di elevata qualificazione. Tanto premesso, occorre domandarsi, innanzitutto, se gli incarichi che attribuiscono la responsabilità di settori dell’amministrazione comunale a personale non dirigente, oggi rientranti tra gli incarichi di EQ giusta le anzidette norme contrattuali collettive, possano essere ricondotti a quelli dirigenziali in base alla normativa anticorruzione. Alla domanda deve darsi una risposta positiva alla luce delle indicazioni ricavabili dalla giurisprudenza e dalla prassi dell’ANAC, che fanno leva sulle previsioni contenute nell’art. 1, c. 2, lett. j) e k), d.lgs. n. 39/2013, ove l’elemento caratterizzante degli incarichi dirigenziali viene ravvisato in un «esercizio in via esclusiva delle competenze di amministrazione e gestione»: le disposizioni testé menzionate, dunque, esplicitamente affermano l’irrilevanza della qualifica formalmente attribuita, dando invece rilievo alle funzioni in concreto affidate.
In secondo luogo, è necessario chiedersi se gli incarichi di responsabili assegnati ai sensi dell’art. 110, c. 1, d.lgs. n. 267/2000 siano equiparabili a quelli dirigenziali esterni, presi in considerazione dall’art. 4, c. 1, lett. c), d.lgs. n. 39/2013 ai fini dell’inconferibilità. Ad una lettura approssimativa del testo normativo, infatti, sembrerebbe doversi negare tale equiparazione. Ciò parrebbe ricavarsi, in particolare, dal tenore dell’art. 2, c. 2, d.lgs. n. 39/2013, secondo cui, nell’ambito degli enti locali, agli incarichi dirigenziali sono assimilabili, oltre che le funzioni di dirigente conferite al personale sprovvisto della relativa qualifica ex art. 109, d.lgs. n. 267/2000, gli incarichi a tempo determinato per posti fuori della dotazione organica di cui al c. 2 del successivo art. 110. In altre parole, la circostanza che il c. 1, art. 110, d.lgs. n. 267/2000 non sia espressamente menzionato, ragionando a contrario, imporrebbe di escludere gli incarichi a tempo determinato per posti in organico dal perimetro applicativo della normativa anticorruzione. Anche tale quesito, tuttavia, deve essere risolto tenendo conto delle posizioni espresse dall’ANAC, per la quale le norme in tema di inconferibilità e di incompatibilità sono applicabili a tutti gli incarichi che, indipendentemente dal loro carattere interno o esterno e dalla sussistenza o meno della qualifica dirigenziale in capo ai loro destinatari, comportino l’attribuzione della responsabilità di un ufficio o servizio29. In base al consolidato orientamento dell’Autorità, dunque, anche gli incarichi di cui al c. 1, art. 110, d.lgs. n. 267/2000, nonostante il mancato richiamo espresso da parte del d.lgs. n. 39/2013, soggiacciono alla disciplina contenuta in quest’ultimo30. Tornando alla fattispecie da cui la presente disamina ha preso l’abbrivio, deve concludersi che la posizione di responsabile di ufficio o servizio, affidata ad un soggetto esterno all’amministrazione con contratto a tempo determinato, ricada sicuramente nell’ambito di operatività della normativa sull’inconferibilità degli incarichi amministrativi. 4. Il supporto al RUP come attività professionale in proprio. La seconda questione sollevata dalla fattispecie in esame consiste nel domandarsi se il pregresso svolgimento di attività a supporto del RUP per conto di un’amministrazione comunale possa determinare l’inconferibilità degli incarichi provenienti dalla medesima. Per rispondere al quesito, occorre dedicare, in via preliminare, qualche cenno alla normativa concernente la predetta figura. 4.1. Il supporto al RUP nella legislazione sui contratti pubblici. Originariamente denominato «responsabile unico del procedimento», tale istituto viene disciplinato nei suoi tratti essenziali dalla l. 11 febbraio 1994, n. 109 (c.d. legge Merloni). L’intento perseguito è quello di adattare al peculiare settore dei lavori pubblici la figura generale – introdotta dalla l. 7 agosto 1990, n. 241 – del responsabile del procedimento31: più precisamente, il RUP è chiamato a svolgere un ruolo di guida e coordinamento di tutte le fasi, dalla programmazione all’esecuzione, in cui si articola l’iter di realizzazione dell’opera pubblica mediante l’esplicazione non solo di attività istruttore, ma anche di poteri decisori. I suoi caratteri strutturali e funzionali, tuttavia, sono compiutamente definiti soltanto dalla successiva legislazione in materia di contratti pubblici e, in particolare, dai due codici del 2006 e del 201633, che ne contemplano la presenza non solo nel caso dei lavori, ma anche nelle ipotesi di servizi e forniture. Da ultimo, il nuovo codice dei contratti pubblici, adottato con il d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36, introduce sensibili cambiamenti in relazione all’istituto de quo, che viene ribattezzato, per l’appunto, «responsabile unico del progetto». Nell’attuale disciplina, racchiusa nell’art. 15 del codice del 2023 e nel suo all. I.2, il RUP diviene il soggetto che sovraintende e coordina, nella sua interezza, l’attività contrattuale delle pubbliche amministrazioni, essendo investito di funzioni comuni a tutte le fasi, di funzioni attinenti alla fase dell’affidamento e di funzioni relative alla fase dell’esecuzione. Quanto alla nomina, le norme vigenti ricalcano, sia pure con alcune modifiche, quelle precedenti: le stazioni appaltanti sono tenute a designare il RUP nel primo atto della procedura, individuandolo tra i propri dipendenti di ruolo, anche se sprovvisti di qualifica dirigenziale; in mancanza di designazione, le relative funzioni sono assegnate al responsabile della struttura competente con riguardo all’intervento da realizzare. È dunque preclusa, in via generale, la possibilità di nominare RUP esterni al perimetro dell’amministrazione. Il nuovo codice, all’art. 15, c. 2, stabilisce che il soggetto designato debba essere dotato delle competenze professionali occorrenti per l’intervento pubblico. Tuttavia, la previsione deve essere letta alla luce di quanto stabilito nell’all. I.2, ove è espressamente contemplata la possibilità che quale RUP venga individuato anche un dipendente non in possesso della professionalità necessaria e, per ovviare a questa evenienza, si prevede l’assegnazione di compiti di supporto ad altri soggetti. A quest’ultimo riguardo, varie sono le soluzioni disponibili. Innanzitutto, le funzioni di supporto possono essere attribuite ad altri dipendenti della stazione appaltante. In subordine, e solo qualora sia dimostrata la totale carenza in organico dei requisiti professionali che servono, è possibile ricorrere all’esternalizzazione, cioè affidare l’attività di supporto al RUP a soggetti esterni. In base all’art. 15, c. 6, del codice del 2023, inoltre, le stazioni appaltanti possono istituire, anche in comune tra loro, un’apposita struttura di supporto e, in tal caso, destinare risorse fino all’un per cento dell’importo posto a base di gara affinché il RUP si avvalga, mediante affidamenti diretti, di soggetti esterni muniti delle specifiche competenze richieste. 4.2. Profili di rilevanza ai sensi delle norme in tema di inconferibilità. Soffermandosi sull’ipotesi dell’esternalizzazione, in cui rientra la vicenda qui esaminata, occorre preliminarmente rilevare che, secondo la giurisprudenza, l’incarico di supporto al RUP deve essere ricondotto allo schema negoziale dell’appalto di servizi, in quanto estrinsecantesi in una prestazione di facere eseguita, a fronte di un corrispettivo in denaro, con organizzazione dei mezzi necessari e con assunzione del rischio correlato. In linea con siffatto orientamento giurisprudenziale, l’ANAC ha ritenuto che quella di supporto al RUP, ancorché diretta a sopperire ad una carenza di risorse interne, vada qualificata in termini di attività professionale in proprio, così rilevando come causa di inconferibilità ai sensi dell’art. 4, d.lgs. n. 39/201345. Tale disposizione, infatti, considera gli incarichi dirigenziali esterni – cui possono essere assimilati, come si è detto in precedenza, quelli che attribuiscono la responsabilità degli uffici o servizi di un comune a personale non dirigente – inconferibili, quando il soggetto designato abbia ricoperto cariche in enti privatistici finanziati dall’amministrazione conferente oppure, per l’appunto, abbia svolto attività professionale per conto della stessa. Oltre al pregresso svolgimento di un’attività professionale in proprio per l’amministrazione, tuttavia, ai fini dell’inconferibilità occorrono alcune condizioni ulteriori, richiedendosi che: - siffatta attività professionale sia stata espletata con continuità e stabilità; - essa abbia riguardato lo stesso settore o ufficio cui si riferisce l’incarico dirigenziale esterno; - non sia decorso il periodo di raffreddamento.
Sotto il primo profilo, il legislatore ha recentemente novellato il testo dell’art. 4, d.lgs. n. 39/2013, inserendovi un nuovo c. 1-bis, secondo cui non rilevano ai fini della disciplina in tema di inconferibilità le attività professionali che abbiano avuto un carattere meramente occasionale, così positivizzando un indirizzo già emerso nella prassi dell’ANAC. In particolare, per quanto concerne l’attività di supporto al RUP, l’Autorità ritiene che l’occasionalità ricorra quando tale attività si sia esaurita in un arco temporale limitato, puntualizzando, comunque, come la stessa non possa ritenersi occasionale al cospetto di una pluralità di incarichi professionali in successione, da cui derivi, nonostante la breve durata delle singole prestazioni, un rapporto sostanzialmente continuativo e stabile con l’amministrazione. Sotto il secondo profilo, è necessario che la pregressa attività professionale riguardi uno o più ambiti di competenza del settore o ufficio a cui si riferisce il successivo incarico dirigenziale esterno. In particolare, ciò accade, a giudizio dell’ANAC, allorquando in un ente locale ad uno stesso soggetto vengano affidati, dapprima, compiti di supporto al RUP e, in seguito, la responsabilità dell’ufficio o servizio tecnico. Quanto, infine, al periodo di raffreddamento, mette conto ricordare che, per gli incarichi dirigenziali esterni, esso è stato recentemente ridotto dal legislatore ad un anno. In ordine alle modalità di calcolo, comunque, rimangono attuali le indicazioni fornite in passato dall’ANAC. 5. Le conseguenze dell’accertata inconferibilità. Come si è accennato, il RPCT è il soggetto cui è demandato il compito di contestare formalmente all’interessato l’esistenza di una situazione di inconferibilità, di procedere alla verifica della stessa e di segnalare l’eventuale violazione del d.lgs. n. 39/2013 all’ANAC, alla Corte dei conti, nonché, per i profili di sua competenza, all’Autorità garante della concorrenza e del mercato. Qualora, all’esito di tale accertamento, risulti il carattere effettivamente inconferibile della nomina, l’ordinamento prevede alcune conseguenze. 5.1. La nullità dell’incarico e la sorte degli atti adottati medio tempore. In particolare, la violazione della disciplina in tema di inconferibilità, come pure si è detto, viene sanzionata con la nullità dell’atto di conferimento dell’incarico e del contratto che accede allo stesso. In proposito, tuttavia, è opportuno distinguere le due fattispecie di invalidità. La nullità del contratto incide soltanto sul rapporto tra l’amministrazione ed il soggetto incaricato. Il problema più rilevante, a questo riguardo, attiene alla sorte della retribuzione medio tempore percepita e viene risolto in giurisprudenza mediante l’applicazione dell’art. 2126 c.c., a mente del quale la nullità del contratto di lavoro non ha effetto per il periodo in cui esso ha avuto esecuzione, dovendosi perciò riconoscere il diritto del lavoratore al trattamento retributivo e previdenziale relativo alle prestazioni svolte. Diversamente, la nullità dell’atto di conferimento dell’incarico si proietta anche nei confronti dei terzi, riverberandosi sull’attività posta in essere dal soggetto incaricato in qualità di organo dell’amministrazione. Secondo la giurisprudenza, a cui si è conformata la prassi dell’ANAC, la vicenda deve essere sussunta nel paradigma del c.d. funzionario di fatto.
Tale figura, pressoché sconosciuta al diritto positivo60, è stata coniata in sede dottrinale e giurisprudenziale con riferimento a quelle situazioni in cui un soggetto, pur non essendone legittimato, agisce in nome di un ente pubblico. Il difetto di legittimazione può essere originario, come avviene nelle di ipotesi mancanza, nullità o inefficacia dell’atto di investitura nell’ufficio, oppure sopravvenuto, come accade nel caso in cui l’atto di investitura, ancorché esistente, sia illegittimo e venga annullato in sede giurisdizionale o amministrativa61. In queste eventualità, la questione principale attiene alla sorte dei provvedimenti adottati dal funzionario di fatto, i quali, ragionando in termini di stretta legalità, dovrebbero ritenersi sempre e comunque invalidi. Ciononostante, dottrina e giurisprudenza si sono sforzate di elaborare soluzioni in grado di contemperare il doveroso rispetto della legalità con l’esigenza di salvaguardare la validità dell’azione amministrativa esplicata. La teoria più diffusa e seguita fa leva sul principio della tutela dell’affidamento, valorizzando l’apparentia iuris ingenerata dall’operato del funzionario di fatto e, su questo fondamento, riconoscendo validità ai suoi provvedimenti62. Al riguardo, tuttavia, si distingue a seconda che si tratti di provvedimenti favorevoli o sfavorevoli ai loro destinatari. Nel primo caso, l’opinione prevalente sostiene che i provvedimenti emanati dal funzionario di fatto possano essere validamente ascritti all’amministrazione, qualora i consociati abbiano confidato senza colpa sulla situazione apparente venutasi a creare: ove ciò si verifichi, infatti, si ritiene che l’esigenza di tutelare l’affidamento imponga di riconoscere efficacia giuridica all’operato del funzionario di fatto, sebbene egli non risulti regolarmente incardinato nell’amministrazione63. Sennonché, il principio della tutela dell’affidamento non può essere invocato in relazione ai provvedimenti di carattere sfavorevole, atteso che esso, mirando a proteggere i terzi in buona fede, opera a loro salvaguardia, e non già a loro discapito. In siffatta ipotesi si distingue ulteriormente a seconda che l’atto di investitura del funzionario nell’ufficio risulti ab inizio mancante, nullo o inefficace oppure sia affetto da illegittimità venga annullato solo dopo l’emanazione, da parte del funzionario medesimo, del provvedimento.
Quest’ultima vicenda niente ha a che fare con la situazione di chi abbia conseguito un incarico inconferibile, ove l’atto di investitura nell’ufficio, per espressa previsione legislativa, è viziato da nullità radicale, cosicché ci si limiterà a qualche cenno per completezza del discorso: in estrema sintesi, al cospetto di una nomina che, seppur illegittima, venga annullata soltanto dopo che il provvedimento è stato emanato, tende a prevalere l’idea secondo cui si determinerebbe l’annullabilità del provvedimento stesso per incompetenza o violazione di legge, con il conseguente onere del destinatario di impugnarlo insieme all’atto di nomina64. Diversamente, a fronte di un difetto originario dell’atto di investitura nell’ufficio, cui è riconducibile la fattispecie dell’incarico nullo per violazione della disciplina in tema di inconferibilità, la soluzione maggiormente seguita reputa inficiati da nullità o, comunque, dalla totale inefficacia anche i provvedimenti emanati dal funzionario, poiché essi, dal punto di vista giuridico, devono essere considerati alla stregua di atti adottati da un privato che non è mai stato investito del potere di agire in nome dell’ente pubblico65. Applicando tali coordinate ermeneutiche, deve concludersi nel senso che i provvedimenti del soggetto a cui è stato affidato un incarico inconferibile sono validi e riferibili all’amministrazione, quando abbiano effetti favorevoli per i terzi, e devono essere invece considerati nulli o, comunque, privi di efficacia ex tunc, quando si tratti, invece, di provvedimenti ad effetti sfavorevoli66. Circa il soggetto competente a dichiarare la nullità dell’atto di conferimento dell’incarico assegnato in violazione delle disposizioni del d.lgs. n. 39/2013 e del relativo contratto, in mancanza di indicazioni da parte del legislatore, l’ANAC, in via interpretativa, ha affermato che tale competenza spetta al RPCT67. Tale orientamento è stato confermato dalla giurisprudenza, la quale ha altresì precisato che si tratta di un potere di natura vincolata, in quanto il RPCT è tenuto ad adottare l’atto dichiarativo della nullità sulla base del mero riscontro dell’inconferibilità dell’incarico68. 5.2. La responsabilità dei soggetti conferenti e le misure sanzionatorie. Alla nullità dell’incarico inconferibile, il d.lgs. n. 39/2013 riconnette ulteriori effetti, destinati a prodursi nei confronti dei soggetti responsabili.
In primo luogo, i componenti dell’organo che ha provveduto al conferimento rispondono delle conseguenze economiche dello stesso69. Esse consistono, più precisamente, nella responsabilità amministrativa per i danni derivanti dall’elargizione di compensi sine titulo al destinatario dell’incarico, essendo quest’ultimo nullo, e dai riflessi patrimoniali della nullità degli atti adottati dallo stesso, oltre al danno arrecato all’immagine dell’amministrazione70. Per espressa previsione legislativa, comunque, a tale responsabilità soggiacciono i soli soggetti cui possa essere effettivamente imputato l’atto di conferimento, mentre ne sono esclusi gli assenti, gli astenuti ed i dissenzienti. Dal punto di vista della procedura per attivare siffatta responsabilità, rileva lo specifico potere di segnalazione alla Corte dei conti riconosciuto in capo al RPCT e all’ANAC71. In secondo luogo, nei confronti dell’organo conferente è prevista un’apposita misura sanzionatoria, consistente nella inibizione, per i successivi tre mesi, a conferire incarichi72. Anche in questo caso, pur in mancanza di precise indicazioni legislative, la giurisprudenza ha individuato l’organo competente ad applicare la misura nel RPCT73. Inoltre, sempre nel silenzio della legge, l’ANAC ha escluso qualsiasi automatismo nell’irrogazione di tale sanzione ed ha ritenuto necessario che essa sia preceduta da un accertamento dell’elemento psicologico del dolo o della colpa, evidenziando che. argomentando diversamente, la norma si porrebbe in contrasto con i dettami della Carta costituzionale e della CEDU74. Infine, un’ulteriore misura consiste nella pubblicazione obbligatoria dell’atto dichiarativo della nullità dell’incarico nel sito dell’amministrazione che ha conferito il medesimo75. 6. Conclusioni: profili applicativi. Alla luce di quanto detto finora deve ritenersi che l’incarico di responsabile dell’ufficio o servizio tecnico di un comune, attribuito mediante contratto a tempo determinato in base all’art. 110, c. 1, d.lgs. n. 267/2000, sia inconferibile ai sensi dell’art. 4, c. 1, lett. c), d.lgs. n. 39/2013, qualora il soggetto designato abbia svolto, in forma non occasionale, attività di supporto al RUP per conto del medesimo ente locale e non sia ancora decorso il periodo di raffreddamento. È appena il caso di soggiungere che alle medesime conclusioni dovrebbe pervenirsi qualora l’incarico avesse ad oggetto un posto non di responsabile di ufficio o servizio, ma di dirigente, sempre assegnato ai sensi del c. 1, art. 110, d.lgs. n. 267/2000. Volgendo l’attenzione ai profili applicativi, mette conto illustrare brevemente le misure adottabili al cospetto della fattispecie in esame. Sulla base delle segnalazioni pervenute o d’ufficio, il RPCT, di regola coincidente con il segretario comunale, è tenuto ad avviare il procedimento di verifica della situazione di inconferibilità mediante formale contestazione al titolare dell’incarico, dandone comunicazione all’organo conferente, cioè al sindaco. All’esito di tale verifica, ove l’inconferibilità venga effettivamente riscontrata, il RPCT deve, con proprio provvedimento, darne atto e dichiarare nullo l’incarico, nel contempo iniziando il procedimento per l’adozione della misura sanzionatorio-inibitoria nei confronti del sindaco e segnalando la vicenda alle autorità competenti.